Ripartire, tra paure e nuove consapevolezze. Danni e “meriti” del Covid-19.

Ripartire, tra paure e nuove consapevolezze. Danni e “meriti” del Covid-19.
24 Mag 2020

Un fulmine a ciel sereno. Un tuono, fragoroso e deciso. Poi, il silenzio.

E’ arrivato così, come un temporale che ti coglie alla sprovvista, quel 9 marzo che ha stravolto tutto. Un virus aveva appena paralizzato le nostre vite, mentre noi, ancora presi dalle nostre estenuanti corse quotidiane, non avevamo avuto neanche il tempo di comprendere cosa stesse davvero succedendo. Lockdown per l’intera Nazione, e non solo per la nostra, al fine di contenere quanto più possibile i contagi. Al costo di smettere, letteralmente, di vivere.

Sbigottiti, impauriti, incazzati, ci siamo ritrovati tutti catapultati in una realtà ai limiti dell’assurdo. Scuole chiuse, attività non “essenziali” sospese, uscite limitate alle sole necessità primarie, autocertificandone le motivazioni. Siamo passati dal “più siamo, meglio è” al non vederci per mesi, dai “due baci di saluto” a chiunque alla distanza di sicurezza anche con le nostre stesse famiglie, dal rientrare a casa solo per dormire all’inventarci modi alternativi per lavorare, studiare, allenarci, rilassarci e divertirci,  tutto da casa.

Abbiamo messo una pesantissima pausa all’economia già zoppicante del nostro Paese, al percorso sociale e formativo dei nostri bambini e ragazzi, alle esperienze di crescita quotidiana di tutti. Lo abbiamo fatto perché “sacrificando” le nostre abitudini, potessimo contenere la diffusione selvaggia e incontrollata di un virus così contagioso e potente da riuscire a mietere in poche settimane migliaia di vittime.

“Prevalentemente anziane e con patologie pregresse”, qualcuno avrà fretta di sottolineare. Sì, è vero. Così anziane da aver passato i migliori anni delle loro vite a spendersi per i figli, a lavorare, a fare sacrifici, in attesa che arrivasse per loro il tempo dei nipoti, del ricevere, del tramandare tutte le verità che l’esperienza ha loro insegnato. Nonni, genitori, fratelli, mogli e mariti, amici di qualcuno. Sentirne parlare spesso come semplici numeri, in questi mesi, è stato offensivo. E non solo nei confronti delle vittime e di chi le piangeva, ma proprio della sensibilità, umanità ed empatia di cui l’essere umano, potenzialmente, dovrebbe caratterizzarsi.

Condanno ogni tipo di allarmismo, sia chiaro. Scoprire che le immagini di stanzoni pieni di bare a Bergamo fossero immagini di repertorio fatte passare finemente come esclusive ha fatto riflettere anche e soprattutto me, che conosco bene le regole e le dinamiche del mondo giornalistico. Ma allo stesso modo condanno chi per settimane ha minimizzato, “sfidando” il virus, con la convinzione della sua non pericolosità per soggetti in salute. Anzi credo che, a volte, estremizzare i provvedimenti sia stato necessario proprio per “contenere” anche quella fetta di popolazione che, potendo scegliere, avrebbe continuato per la propria strada, come se nulla fosse cambiato. E sono i fatti a dimostrarlo, ad oggi.

Il 18 maggio l’Italia ha dichiarato di dover RIPARTIRE. E la parola “dover” scelta al posto di “poter” è il senso di tutto. Non è stata la “festa della liberazione” dal virus. No. Perché il virus non è stato sconfitto e difficilmente lo sarà a breve. E’ stata una impellente necessità economica, per non rischiare il completo tracollo delle nostre attività produttive e della nostra Nazione.

RIPARTIRE. Dopo due mesi in cui ho ricominciato ad avere il tempo addirittura per pensare profondamente alle cose, ho riflettuto tanto anche solo sulla parola stessa.

  1. Dividere tra più persone, spartire;
  2. Ordinare in modo uniforme ed equilibrato;
  3. Partire di nuovo, rimettersi in viaggio;
  4. Rimettersi in moto, riprendere un’attività momentaneamente sospesa.

Oxford Languages

Cos’è che ci stiamo dividendo, in egual misura tra noi? La RESPONSABILITA’. Dipenderà dalle nostre nuove buone abitudini e dallo stile di vita che decideremo di adottare se riusciremo davvero a ripartire, come Paese, nel rispetto reciproco, con l’obiettivo di imparare a convivere con questo virus, senza dover arrivare al risultato di chiudere tutto, di nuovo. Perché c’è chi in questi due mesi ci ha davvero creduto, con consapevolezza, e ha rispettato le regole imposte perché le ha ritenute valide,  ma c’è anche chi si è fatto guidare nelle proprie scelte esclusivamente dalla paura dei “controlli a tappeto” e delle sanzioni. E non appena quell’era sembra finita, con leggerezza sceglie di non dare valore alle ultime e sole regole che ci vengono indicate: distanziamento, mascherine e niente assembramenti.

Ed ecco che arriviamo alla seconda definizione del termine ripartire: “ordinare in modo uniforme ed equilibrato”. Nessuno ci sta dicendo di continuare a non uscire, di rinunciare ancora a vedere le persone a cui vogliamo bene, di non andare per negozi, per locali, o semplicemente in giro. Anzi. Ci stanno chiedendo di farlo, quanto più possibile, perché è indispensabile far ricominciare a girare l’economia, ma di farlo con coscienza e prudenza, riflettendo. Continuando ad utilizzare come unità di misura quell'”essenzialità” che prima regolava le uscite, adesso deve pesare i comportamenti personali.

Ci viene chiesto semplicemente di sorridere con gli occhi nei luoghi pubblici, tenendo la bocca (ma anche il naso, please) al riparo dietro una mascherina che ci protegge reciprocamente. Di dimostrare affetto con le parole, gli sguardi, i gesti, ma non con il contatto. Perché in fondo non sarà la mancanza di un bacio o di un abbraccio a mettere in discussione il nostro legame. Ci viene suggerito di prestare più attenzione all’igiene personale, ammesso che non fosse già nelle nostre sane abitudini. Di rispettare gli spazi vitali dell’altro, ma credo che in una società civilizzata questo avremmo già dovuto impararlo da tempo.

Lo stesso concetto si applica alla libertà, d’altronde. La mia finisce dove inizia quella dell’altro. E mai come in questo momento mi sento di ricordarlo. Perché sono stanca di leggere “maestri di vita” che, da dietro ad una tastiera, o peggio ancora da una finestra socchiusa, si ergono a giudici della società. Siamo tutti liberi di scegliere per noi stessi, se rispettiamo le regole. Essere responsabili non significa per forza scegliere di rimanere alle restrizioni della fase 1. C’è chi ha scelto di farlo, e ha le sue sacrosante motivazioni, e merita di essere rispettato e non oltraggiato dai comportamenti “invadenti” degli altri. C’è chi si è sentito di ricominciare a vivere, con le dovute precauzioni, ed è in pieno diritto per farlo.

Lo dice il termine stesso: dobbiamo rimetterci in viaggio, riprendere quelle attività che avevamo sospeso, farlo nonostante il virus non sia stato sconfitto. Abbiamo imparato a farlo in questi due mesi, gli esperti ci hanno spiegato e rispiegato come fare, da cosa proteggerci, come proteggere gli altri. Possiamo farlo, inoltre, con le nuove consapevolezze che abbiamo acquisito durante questo “viaggio” che abbiamo avuto il tempo di fare dentro di noi, nelle nostre famiglie, nei nostri rapporti.

E’ innegabile che, oltre agli enormi danni che il Covid-19 ha causato su tutti i fronti, indirettamente ci siano anche alcuni meriti da attribuirgli. Chiusi nelle nostre abitazioni, abbiamo riscoperto il reale valore del tempo. Ci hanno tolto tutto e abbiamo potuto capire cosa ci mancava davvero e cosa no. Abbiamo conosciuto meglio le persone, proprio ora che non potevamo incontrarle. Ci siamo ritrovati vulnerabili, quando pensavamo di essere invincibili. Abbiamo sviluppato e perfezionato capacità che non pensavamo neanche di avere. Abbiamo realizzato che quasi tutto quello che facevamo prima, lo facevamo spinti dalla corrente, senza avere il tempo di sceglierlo davvero. E che non c’è niente di scontato, di dovuto, di certo.

Quale sarà la prima cosa che farai non appena saremo di nuovo “liberi”? Ce lo siamo chiesto spesso, in questi mesi.

Il mio viaggio fin qui mi ha portato a sentirmi finalmente LIBERA di scegliere di restare ancora a casa, per qualche giorno, perché non mi sentivo ancora pronta, ma anche per dimostrare a me stessa di essere riuscita a “disintossicarmi” davvero da quello stile di vita frenetico e folle da cui il lockdown mi ha salvata. Poi, ho sentito l’esigenza di vedere il mare. E le persone che amo. Perché è casa tutto ciò che ci fa stare bene.

Ma, mentre respiravo il mare, un pensiero si è fatto spazio prepotente nella mia testa.

“E’ strano tornare casa. E’ tutto uguale: gli stessi odori, le stesse sensazioni, le stesse cose… ti rendi conto che l’unico ad essere cambiato sei tu”.

RIPARTENZE.

 

 

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Francesca Maci

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